IL GIOCO DELLE BOCCE: LA NOSTALGIA DI UN MONDO CHE SAPEVA FERMARSI
C’è qualcosa di profondamente umano nel gesto lento e misurato di lanciare una boccia verso il boccino. Non è solo un passatempo, un gioco, ma un rito silenzioso di appartenenza, un codice antico che parla di terra, tempo e relazioni.
Nei piccoli borghi, ancora oggi, le bocce resistono. Fanno parte di un paesaggio emotivo che ci ricorda chi siamo stati. Fa pensare alle sere d’estate della mia infanzia, in cui passavo ore a vedere questo mondo, rigorosamente maschile che, forse, aveva bisogno di un gioco per potersi relazionare.
Non parlano molto, ma si capiscono.
Attorno a un campo di bocce, gli uomini non competono: si ascoltano, si misurano, si osservano in silenzio. Ogni partita è un dialogo muto, dove le parole sono sostituite dal peso delle bocce e dalla traiettoria dei pensieri.
E poi ci sono loro, le donne che chiacchierano a pochi passi. Un incontro il loro, fatto di parole leggere e memorie condivise. Anche questo è un gioco, ma diverso: un insieme di sguardi, pettegolezzi, saggezza tramandata sottovoce. Sempre più raro, ma ancora vivo nei piccoli paesi dove il tempo ha un altro passo.
Il gioco delle bocce è l’incontro tra il gesto e l’attesa, tra il silenzio e la voce. È la nostalgia di un mondo che sapeva fermarsi, dove l’essere era più importante del fare, dove si giocava per restare umani.
Anche solo per ascoltare il suono pieno di una boccia che tocca terra… e sentirsi un po’ meno soli.

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