I SOCCORRITORI TRA GENEROSITA’ E PAURE

Il mio pensiero oggi va ai Soccorritori che in questo periodo sono i primi ad avvicinarsi alle persone in difficoltà, sia per l’emergenza del Coronavirus che per qualsiasi altra richiesta di aiuto. Insieme al personale sanitario sopportano orari massacranti per aiutare chi ha bisogno, lasciando a casa la propria vita per mettersi al servizio di quella degli altri.

Il soccorso inizia con la “vestizione”, indispensabile per incontrare la persona che potrebbe essere infetta. In questo momento si prende anche consapevolezza dei rischi che si corrono, che sono proporzionali alle precauzioni necessarie.

Il primo contatto con la persona da soccorrere inizia con lo sguardo, che mai come in questo periodo assume significato e potenza: attraverso gli occhi si trasmette preoccupazione, dolore e timore, ma anche umanità, gentilezza e rispetto.

A volte è difficile infondere speranza, perché prevalgono pensieri dolorosi per il timore che quello potrebbe essere l’ultimo incontro tra il malato ed suoi familiari. Allora si prova a sorridere con difficoltà, perché il sorriso vero appartiene al passato, quando era più facile trasmettere fiducia e positività.

Una volta giunti in ospedale il paziente viene lasciato insieme a tanti altri, dai suoi occhi trapelano paura ed angoscia e non si può far altro che osservare con rassegnazione quella persona sola e spaventata, che nel giro di pochi secondi è diventata un numero identificabile come positivo o negativo.

In quell’ambiente si spera di non incontrare dei conoscenti, perché non si saprebbe che cosa dire; qualcuno si sente un po’ in colpa per non avere una risposta rassicurante da dare, ma quella risposta non ce l’ha nessuno. Così si fa i conti con l’impotenza, la rabbia, la frustrazione e la paura.

Il lavoro continua con la sanificazione dei mezzi e di tutta l’attrezzatura e, dopo essersi spogliati della tuta, il ritorno alla normalità, si fa per dire, perché ora iniziano altre preoccupazioni. C’è il timore di non aver seguito bene le procedure o di non essersi disinfettati adeguatamente, con la preoccupazione per la propria incolumità e quella degli altri.

Con il rientro a casa continua l’isolamento, il più faticoso, quello che costringe a stare lontano dai propri cari, dalla propria famiglia. Difficile sostenere il peso di spiegare ai figli, soprattutto ai più piccoli, che non si possono avvicinare, né è possibile abbracciarli. Così si vive divisi, si mangia a turno e si dorme da soli, ognuno conduce una vita separata. Qualcuno prova ad essere positivo e sorridente perché bisogna essere forti e trasmettere coraggio, ma si ha una grande paura per i propri cari, a volte sentendosi in colpa per l’impegno che si è scelto.

Inizia così un turbinio di emozioni forti, che di solito ci si tiene dentro. In casa non ci si concede il permesso di parlarne per non appesantire l’atmosfera già difficile, mentre al lavoro si teme il giudizio degli altri, con la paura di essere ritenuti inadatti a quel ruolo perché si mostrano delle debolezze. Così si sta male, perché la paura, l’impotenza e l’ansia sono troppo pesanti da sostenere e non si sa con chi condividerle.

Forse anche perché i soccorritori non sono abituati a farsi “soccorrere”?

C’è il timore che questa inversione di ruoli possa evidenziare una personale mancanza, una fragilità, per qualcuno un’umiliazione, dimenticando però che prima di essere soccorritori si è persone, ognuno con le rispettive paure, debolezze ed ansie e che chiedere aiuto è un diritto e non un motivo di vergogna.

Inoltre solo riconoscendo i propri limiti e le proprie criticità è possibile superarli, con la prospettiva di continuare ad assistere tutti coloro che ne hanno bisogno, con la passione e l’umanità che contraddistingue chi ha scelto questo lavoro.

Ciascuno ha però anche una propria capacità di reazione ed i propri punti di forza: chi si concentra su come utilizzare al meglio i mezzi a disposizione, altri trovano la forza dai più giovani, sentendosi investiti da una maggiore responsabilità ed esperienza, altri ancora conservano aldilà di tutto un sano ottimismo e capacità di guardare avanti, tutti quanti facendo squadra e sentendosi parte di un sistema che dimostra di farcela, dove ciascuno offre sempre il meglio di sé.