A NESSUNA ETÀ SI DIVREBBE RIMANERE SOLI

A nessuna età si dovrebbe rimanere soli.
Oggi il mio pensiero va a chi ha necessità di una degenza in ospedale, in particolare alle persone fragili e agli anziani.
Ancora oggi ci sono delle regole che privano le persone del loro mondo affettivo, che viene limitato a qualche contatto telefonico.
Nel luogo di cura ci si preoccupa del corpo, ma si maltrattano la mente e l’anima, quasi fosse una gara ad affermare la supremazia di un aspetto sull’altro, mentre fuori da quelle mura c’è spesso il compagno di una vita che soffre per l’impotenza, la rabbia ed il dolore per essere stato escluso con modalità spesso prive di un minimo di umana sensibilità.

Dovremmo chiederci a quale danno psicologico stiamo sottoponendo i nostri cari e quanto la solitudine, la mancanza di parole confortanti, di gesti come un abbraccio o il tocco della mano, incidano sulla prognosi e sul benessere della persona.

Ci sono sempre più persone che, spaventate da questa alternativa, per non rimanere sole preferiscono morire in casa tra gli affetti, invece che farsi curare in un isolamento che esclude i contatti umani proprio nelle ultime fasi della vita, quando anche uno sguardo trasmette un enorme carico di sentimenti.

Mi spaventa l’idea che la disumanizzazione della degenza possa diventare uno scenario al quale doversi abituare. Da sempre le terapie invisibili, quelle legate alla vicinanza hanno reso più efficace ogni terapia medica ed ogni convalescenza.
L’attenzione per la persona non può prescindere da questi aspetti che incidono sul benessere sia dei malati che dei loro cari, recuperando quell’umanità di cui troppo in fretta si stanno perdendo i contorni.